Mia moglie mi ha guardato negli occhi e mi ha detto di lasciare nostra figlia e andarmene di casa. Quando ho scoperto il vero motivo, il mio cuore si è frantumato.

Mia moglie mi ha chiesto di stare lontano da nostra figlia di tre anni e di lasciare casa per un po’. Quando ho capito il vero motivo, mi si è spezzato il cuore.

Mi chiamo Jake, ho 32 anni, e da quando è nata Allie la mia vita ruota intorno a lei. È una bambina da “papà”: mi chiama per qualunque cosa, dalla buonanotte ai giochi sul tappeto, perfino per sedersi a tavola. Fino a poco tempo fa, Sarah, mia moglie, non aveva mai detto nulla.

Advertisements

Ogni mattina è uguale e, per me, perfetta. Allie si sveglia, sbuca dalla sua copertina e urla:
«Papààà!»

Vado in camera sua, la sollevo e lei mi cinge il collo con le braccia piccole e calde. In cucina prepariamo la colazione insieme. I suoi preferiti sono i miei pancake a forma di animali.
«Guarda, papà! Questo è un coniglietto!»
Ride, lo indica entusiasta e poi lo affoga nello sciroppo, felice.

Dopo colazione andiamo al parco. La sua mano minuscola stretta alla mia, poi via, libera, che corre verso l’altalena.
«Più in alto, papà! Ancora più in alto!»
Io spingo, lei ride, e per un attimo mi sembra che non esista niente di brutto al mondo.

Il pomeriggio è il regno delle tende di coperte e dei cuscini ammassati in soggiorno. L’immaginazione di Allie non ha limiti.
«Questo è il nostro castello, e tu sei il cavaliere che mi protegge!»
Mi porge orgogliosa una spada di cartone e mi ordina di combattere i mostri invisibili. Restiamo lì per ore. La sua risata è la mia ricarica.

Col tempo, però, qualcosa in Sarah ha cominciato a incrinarsi. Un giorno ha lasciato cadere una frase che mi ha punto più di quanto volesse ammettere.
«Lei non mi vuole bene come vuole bene a te.»

Ho provato a tranquillizzarla.
«Non è vero. Perché non organizzate una cosa solo voi due? Una giornata mamma e figlia, un laboratorio, un corso, un pomeriggio al parco solo per voi…»

Sarah ha alzato gli occhi al cielo.
«Non ho tempo, Jake», ha risposto secca, infastidita.

Ho cercato di darle spazio: ho finto di essere occupato, ho proposto che fosse lei a mettere a letto Allie o a portarla al parco. Ma spesso tornavo a casa e le trovavo ognuna per conto suo: Allie davanti ai cartoni, Sarah al telefono o al computer.

Più passavano i giorni, più avevo l’impressione che, nella mente di Sarah, io e Allie vivessimo dentro una piccola bolla da cui lei si sentiva esclusa.

Poi è arrivata quella sera.

Avevamo appena fatto addormentare Allie. Io mi ero seduto sul divano, ancora con il suo profumo di bagnoschiuma sulle mani. Sarah è entrata in salotto, il volto stranamente teso.
«Dobbiamo parlare.»

Il classico inizio che non promette mai niente di buono.
«Okay… dimmi.»

Lei ha inspirato a fondo.
«Devi andartene per un paio di settimane.»

Ho riso, convinto fosse uno scherzo di pessimo gusto.
«Scusa? Perché mai?»

«Perché Allie deve legarsi a me. Tu sei sempre qui, sei ovunque. Lei ti sceglie sempre. Io sono sua madre, Jake. Devo avere spazio anch’io.»

Sono rimasto a fissarla, incredulo.
«Sarah, stai dicendo seriamente che dovrei sparire per settimane dalla vita di nostra figlia di tre anni? Le farà solo paura, non capirebbe nulla.»

Il suo sguardo si è irrigidito.
«Io sono cresciuta senza padre. Questo mi ha resa molto più vicina a mia madre. Allie ce la farà.»

«Ma non stiamo parlando di te e del tuo passato. Stiamo parlando di lei, adesso», ho provato a farle capire.

«Tu non capisci. Ne ho bisogno. Ne abbiamo bisogno», ha insistito.

Sentivo crescere dentro di me una rabbia impotente.
«E quindi cosa dovrei fare, secondo te? Preparare una valigia e sparire? E cosa le dico se chiede di me?»

La risposta mi ha gelato.
«Niente. Vai e basta. È solo per un po’.»

A quel punto ho perso la calma.
«Questa è la cosa più crudele che potessi chiedermi. È egoista.»

«Egoista sei tu! Hai assorbito tutta la sua attenzione! Io sembro quasi una figura di contorno. Sono sua madre, Jake!»

Abbiamo discusso a lungo, senza trovare un punto d’incontro. Alla fine abbiamo chiuso con un compromesso che non mi piaceva, ma che sembrava l’unico possibile: sarei andato a stare da un amico per una settimana, non due. E avrei potuto sentirla al telefono.

Mi sono trasferito da Mike con una borsa mezza vuota e il cuore completamente vuoto. Lui ha provato a tirarmi su, proponendomi birra, film, palestra. Ma la mia testa era sempre e solo da Allie.

Ogni sera la chiamavo prima che andasse a dormire.
«Papà, quando torni?»

Quella vocina dolce, un po’ tremante, mi faceva male fisicamente.
«Presto, amore mio. Papà sta aiutando lo zio Mike per qualche giorno, ma poi torna», le rispondevo, cercando di tenere la voce ferma.

I giorni non passavano mai. Mi mancava tutto: le sue manine appiccicose, le sue domande senza fine, il modo in cui mi chiedeva sempre la stessa storia, ogni sera, come se fosse nuova.

Al quinto giorno non ce l’ho fatta più. Ho deciso di farle una sorpresa. Ho preso l’auto, sono passato dal McDonald’s a comprare un Happy Meal — sapevo che l’avrebbe reso raggiante — e sono andato a casa.

Appena ho aperto la porta ho sentito delle risate in salotto. Non erano quelle di Allie.

Mi sono affacciato e li ho visti: Sarah sul divano e accanto a lei Dan, il suo collega. Erano seduti vicini, rilassati, con quell’atmosfera che non si crea “solo parlando”.

«Jake!» ha esclamato, balzando in piedi come se avesse visto un fantasma.
Dan l’ha imitata, visibilmente a disagio.
«Ehi… ciao», mormorò.

Ho appoggiato il sacchetto del McDonald’s sul mobile, tremando.
«Che sta succedendo qui?» ho chiesto, anche se la risposta la conoscevo già nel fondo dello stomaco.

«Non è come pensi», ha sussurrato Sarah, con gli occhi pieni di colpa.

In un attimo ho collegato tutto: la richiesta di farmi andare via, il bisogno di “spazio”, le improvvise serate di lavoro extra. Non si trattava di aiutare Allie a legarsi alla madre. Si trattava di liberarsi di me.

«Da quanto va avanti?» ho chiesto, la voce incrinata.

Sarah non rispondeva. Guardava il pavimento.

«Siamo solo qui a parlare», ha provato a dire lei, fragile.

«Parlare?» ho alzato la voce. «Hai mandato via il padre di tua figlia per “parlare”?»

Dan ha fatto un passo avanti.
«Jake, magari possiamo sederci e…»

«Tu non dire una parola», l’ho interrotto. «Questa è una cosa tra me e mia moglie.»

Sarah ha finalmente alzato lo sguardo.
«Scusa», ha mormorato. «Non volevo arrivare a questo punto.»

Ho sentito il nodo salirmi in gola.
«Non “volevi”? Hai distrutto la fiducia che avevamo. Hai usato nostra figlia come scusa per tenermi lontano e passare il tempo con lui.»

«Mi sentivo sola», ha detto, quasi in difesa. «Voi due eravate sempre insieme. Io… ero fuori.»

«E allora parlane! Chiedi aiuto, fai terapia, urla, piangi, ma non tradire. Non mi portare via mia figlia per avere campo libero», ho risposto, esausto.

La stanza sembrava troppo piccola per contenere tutto quello che sentivo. Ho preso le chiavi, sono uscito senza sbattere la porta solo perché Allie stava dormendo.

Sono tornato da Mike e gli ho raccontato tutto. Lui era indignato almeno quanto me, ma soprattutto era lì, in silenzio, mentre a me cadeva addosso il crollo di tutto ciò che pensavo fosse la mia famiglia.

Le settimane successive sono state un susseguirsi di avvocati, colloqui, discussioni fredde. Alla fine abbiamo deciso per l’affido congiunto di Allie. Due case, due lettini, due routine… una sola, grande certezza: lei sarebbe sempre venuta prima di tutto.

Mi sono preso un monolocale non lontano da dove vivevamo, per essere a pochi minuti da lei. Abbiamo stabilito orari, giorni, organizzato calendari condivisi. Ogni momento libero è diventato tempo per Allie: passeggiate, storie, giochi, abbracci.

Paradossalmente, il nostro legame si è fatto ancora più forte. Lei ha capito che la sua vita era cambiata, ma ha anche capito che io non l’avrei mai lasciata davvero.

Sarah, su consiglio di una collega, ha iniziato a frequentare un gruppo di supporto per genitori. Ha cominciato a parlare del suo passato, della mancanza di un padre, delle sue paure. Poco alla volta si è davvero avvicinata a Allie, non per costringerla, ma ascoltandola. Tra loro è nato un rapporto più vero. E questo, per quanto mi facesse male pensarci, mi rendeva felice per nostra figlia.

Io, invece, non sono riuscito a superare il tradimento. Quella crepa è rimasta lì, profonda. Con Sarah siamo rimasti due genitori che collaborano: ci rispettiamo, ci coordiniamo, ci informiamo a vicenda su ogni dettaglio riguardo ad Allie. Ma il matrimonio, quello, è rimasto solo un ricordo.

Qualche sera fa, mentre le rimboccavo le coperte nel suo lettino a casa mia, Allie mi ha fissato con i suoi occhi grandi e chiari.
«Papà, resterai sempre con me?»

Mi si è stretto il cuore. L’ho guardata e ho sentito tutta la verità di quello che stavo per dirle.
«Sempre, piccolina. Qualunque cosa succeda tra i grandi, io per te ci sarò. Sempre.»

Lei ha sorriso, si è girata sul fianco abbracciando il peluche, e in quel momento ho capito che, anche se il mio matrimonio era finito, il ruolo più importante della mia vita era appena cominciato davvero.

Advertisements