Mio figlio aveva fatto amicizia con l’unico vicino del nostro cul-de-sac che tutti evitavano — me compresa. All’inizio mi sono limitata a preoccuparmi un po’, poi ho cominciato a notare che rientrava con dei soldi in tasca. Aveva solo sette anni. A quel punto ho deciso di capire cosa stesse succedendo e, non molto dopo, la polizia ha bussato alla porta di quel vicino.
So che ogni genitore capirà: quando i nostri figli passano del tempo con altri adulti, bisogna restare vigili. Non importa chi siano: meglio peccare di prudenza, perfino in famiglia.
Eppure non avrei mai pensato che la persona più taciturna e appartata del quartiere potesse diventare una minaccia.
Mi presento: sono Kayla, ho trentadue anni e cresco da sola mio figlio, Eli, che di anni ne ha sette.
Viviamo in un angolo tranquillo della città, alla fine di un vialetto cieco dove i prati sono sempre rasati e ci si saluta di riflesso quando ci si incrocia. Conosciamo quasi tutti per nome.
C’è un’aria domestica e serena, fatta di piccoli progetti condivisi con Eli: il giardinetto davanti casa, il mangiatoio per gli uccellini che abbiamo costruito qualche mese fa.
Per questo ero certa che mio figlio sarebbe cresciuto rispettando la casa e con la voglia di essere d’aiuto. All’inizio, infatti, quello che stava accadendo mi era parso soltanto curioso.
In fondo alla strada sorge una casa che mi ha sempre messo un filo d’inquietudine: un’antica villetta avvolta dall’edera, siepi lasciate correre e grandi querce che proiettano ombre lunghe.
È la tipica abitazione che i bambini aggirano a Halloween. Lì vive la signora Eleanor, un’anziana oltre i settant’anni. Non è socievole come altri vicini della sua età, e tiene sempre le tende serrate.
La sua riservatezza, unita a un atteggiamento un po’ brusco, ha alimentato qualche chiacchiera, nulla di concreto però.
Lo ammetto: mi sono fatta delle domande su di lei, ma mai abbastanza da presentarmi. Anzi, spesso difendevo il suo diritto a stare per conto suo.
Poi qualcosa è cambiato.
Un pomeriggio, appena tornato da scuola, Eli è rientrato di corsa: «Mamma, indovina? La signora Eleanor mi ha invitato a fare i biscotti con lei!»
Ero ai fornelli a mescolare il sugo e sono rimasta di sasso. «La signora Eleanor? Quella in fondo alla strada?»
«Sì! Ha detto che li prepareremo dall’inizio alla fine. Posso andare?»
La cosa mi ha spiazzata. «Ti ha invitato proprio a casa sua?»
Non mi sembrava il tipo da mettersi a pasticciare con i bambini.
Eli, però, era al settimo cielo. Voleva imparare. Io in cucina me la cavo, ma con i dolci non ho mai avuto grande mano.
Alla fine ho ceduto. «Va bene, ma sii educato e rientra prima di cena, d’accordo?»
«Grazie, mamma! A dopo!» E via, è sgattaiolato fuori.
L’idea che mio figlio avesse mostrato gentilezza a chi viveva ai margini del nostro piccolo mondo mi ha strappato un sorriso, anche se non riuscivo a scrollarmi di dosso una certa inquietudine: per me, la signora Eleanor restava una perfetta sconosciuta.
Abitavamo lì da quando Eli aveva un anno, e non ci eravamo mai rivolte la parola. D’altra parte era un’anziana: che male poteva mai fare?
Quella sera, Eli è tornato con un piatto di biscotti fatti da lui. «Guarda! Me li ha insegnati la signora Eleanor. Ho persino controllato il timer del forno!» mi ha detto, gonfio d’orgoglio.