La notizia fece il giro del quartiere in un sussurro incredulo: una vedova, madre di quattro bambini, aveva fatto entrare in casa un anziano fradicio di pioggia… e il giorno dopo aveva venduto la sua misera abitazione per un solo dollaro, senza più tornarvi.
Angelika Gromova, trentiquattro anni, fissava quel pomeriggio di pioggia dalla finestra scheggiata. Le gocce battevano il vetro come dita impazienti; il mercato dei fiori, unica fonte di guadagno, era andato in fumo. Di solito, con un mazzo di tulipani e qualche uovo fresco riusciva a mettere insieme la cena; quel giorno, neppure quello.
Da tre anni cresceva da sola i figli: il marito, Mark, se n’era andato un mese dopo la nascita del piccolo Roma. Angelika non sapeva leggere né scrivere, ma si spaccava la schiena per non far mancare ai bambini almeno il pane. Quel pomeriggio, la pioggia non mollava. Strinse le palpebre contro il vetro e, oltre il riflesso magro del suo viso, scorse un uomo anziano fermo al margine della strada, zuppo fino alle ossa. Si riparava come poteva sotto la tenda abbassata di una bottega, ma l’acqua lo raggiungeva ugualmente. Aveva un’aria distinta, e camminava senza ombrello.
«Perché resta lì?», pensò, infilando il vecchio maglione. Prese un ombrello spelacchiato ed uscì.
«Abito qui vicino», disse, avvicinandosi. «Se vuole, può aspettare che passi il temporale da me.»
L’uomo la guardò sorpreso, poi accennò un sorriso e la seguì. «Mi chiamo Jurij Timofeev», si presentò. «E lei, signora…?»
«Angelika Gromova», rispose, spolverando una sedia improvvisata con due copertoni e una tavola. «Si accomodi.»
Jurij osservò i quattro bambini addormentati sul pavimento nudo. «Perché dormono così?»
«Non abbiamo ancora mangiato oggi», ammise lei, con una serenità che aveva il sapore della resa. «Dio provvederà. Basta che smetta di piovere.»
Lo colpirono la dignità e la fede di quella donna, più della miseria evidente: muri spelati, tetto che gocciolava, nessun mobile degno di questo nome.
Dopo un silenzio breve, Jurij disse piano: «Venite a vivere da me.»
Angelika sussultò. «Come, scusi? Con i miei figli? Perché? Che cosa vuole da noi?» Si pentì di averlo fatto entrare.
Lui sollevò le mani, rassicurante. «Non sono pazzo. Non mi aspettavo di incontrare una generosità così semplice.» Estrasse una busta dalla giacca e la posò sul tavolo. Dentro c’erano una lettera e un fascio di documenti: atto di proprietà, indirizzo in un quartiere tranquillo, un giardino.
«Non capisco…», mormorò lei.
«Il mio nome completo è Jurij Timofeevič Henderson», spiegò. «Ho fondato la Timofeev Development. Ho case in tutta la regione. Ora sono in pensione, e stanco dell’avidità che ho visto per tutta la vita. Volevo capire se esiste ancora chi dà senza chiedere. Lei l’ha fatto.»
Angelika scosse la testa. «È troppo.»
«Non è un regalo», ribatté lui. «È uno scambio.» Tirò fuori una banconota da un dollaro. «Mi venda questa casa per un dollaro. Firmiamo domattina. Voi entrerete nella nuova abitazione: è pronta. Ve la siete meritata.»
Angelika guardò le pareti scrostate, i materassini sul pavimento, la ciotola vuota in un angolo. Pensò a Mark, alle notti in cui fingeva di non aver fame per lasciare più pane ai piccoli. Sentì salire le lacrime e non le fermò.
Il mattino seguente firmò: vendette la sua casupola a Jurij per un dollaro, raccolse in due borse qualche vestito e una foto consunta del marito, e uscì con i bambini senza voltarsi.
La porta della nuova casa si aprì su un profumo di pane caldo. Il frigorifero era pieno, le luci funzionavano, in ogni stanza c’erano letti veri con coperte pulite. Sullo sportello del frigo, un biglietto:
«Mi avete ricordato cos’è la ricchezza. Ora tocca a me mostrarvi cosa significa sentirsi al sicuro. — Jurij»
Oggi Angelika vende ancora fiori, ma in un’altra strada e per il semplice piacere di farlo. Ha frequentato un corso gratuito, ha imparato a leggere e a firmare il proprio nome, e adesso aiuta altre madri con i documenti e la ricerca di lavoro.
A volte Roma le chiede: «Mamma, perché non viviamo più nella casetta piccola?»
Lei sorride sempre allo stesso modo: «Perché siamo cresciuti. Il nostro cuore era più grande di quelle quattro mura.»
Basta un gesto disinteressato per cambiare la rotta di un’esistenza intera.