La trattavano tutti come una sfigata. A scuola non perdeva occasione nessuno per prenderla in giro: dicevano che portava solo i vestiti usati degli altri e che a pranzo mangiava gli avanzi. Eppure, contro ogni previsione, è stata proprio lei a essere incoronata regina del ballo di fine anno.

Nina spalancò la porta principale della scuola e si lasciò inghiottire dal lungo corridoio, illuminato da fredde lampade al neon. Quella luce bianca, piatta, cancellava ogni colore e rendeva l’aria pesante. Fuori, la primavera era già esplosa in anticipo, con il sole tiepido e gli alberi in fiore; lì dentro, invece, tutto sembrava fermo, grigio, immutabile.
Per lei, quell’ultimo anno di liceo non era un traguardo, ma una condanna. I compagni non parlavano d’altro che di primi amori, università, città nuove in cui trasferirsi, e soprattutto dei vestiti scintillanti che avrebbero indossato al ballo di fine anno. Nina, in mezzo a loro, era come un’ombra: sempre ai margini, in silenzio, come se fosse trasparente.

Quel marchio, cucito addosso da anni, non se n’era mai andato: la pezzente.
Alle elementari ridevano di lei dicendo che portava addosso stracci e che pranzava con gli avanzi. Alle medie era andata anche peggio: i ragazzi sfoggiavano giubbotti firmati, zaini nuovi a ogni settembre, sneakers di marca. Lei aveva un solo abito “carino” per le occasioni speciali e un paio di jeans di seconda mano. Le ragazze, con la loro crudeltà elegante, riassumevano tutto in una frase:
— È povera. E lo sarà sempre.

Advertisements

Ogni volta che le compagne parlavano del ballo come di una “festa da principesse”, Nina sentiva un nodo serrarle lo stomaco. Si immaginava lì, in mezzo a loro, con scarpe vecchie e un vestito scollato e mal rifinito, mentre la sala intera rideva di lei. Una settimana prima, Masha, con il suo sorriso affilato, l’aveva messa alla berlina davanti a tutti:
— Allora, Nina, hai già chiesto i soldi alla preside per il tuo vestito?
La classe era esplosa in una risata fragorosa. Nina aveva raccolto il suo libro e se n’era andata di corsa in corridoio, con le lacrime che le bruciavano gli occhi.

Le tornò in mente un ricordo lontano. Alle elementari, i suoi genitori le avevano comprato un vestitino rosa, con fiocchi e ricami. Doveva essere il suo piccolo sogno da bambina. Il giorno dopo, però, i compagni lo avevano sporcato apposta di vernice.
— Tessuto scadente — avevano commentato le bambine, come piccole giudici spietate.
Sua madre l’aveva stretta e le aveva promesso un altro vestito, ma i soldi, si sa, non bastavano mai.

Al liceo, le prese in giro erano diventate parte del paesaggio. Gli insegnanti, al massimo, sospiravano:
— Sono ragazzi, si sistemeranno tra loro.
Ma per Nina non si sistemava niente. Ogni commento era un colpo in più. Un giorno, dopo l’ennesima battuta velenosa, uscì dall’aula in lacrime e non tornò per metà delle lezioni.

A casa non trovava rifugio, ma un’altra battaglia. Dopo la morte della madre, suo padre si era abbandonato all’alcol. Lo trovava quasi sempre seduto davanti alla televisione, circondato da bottiglie vuote. Quella volta le chiese appena, con voce impastata, perché fosse rientrata così presto. Nina gli rispose a fatica, poi gli si avvicinò:
— Papà, ti prego… Mamma non vorrebbe vederti così.
Lui tirò su con il naso, ma non disse niente. Solo silenzio e stanchezza.

Più tardi, raccogliendo il coraggio, gli parlò del ballo, del suo desiderio di presentarsi almeno per una volta come una ragazza “normale”, con un vestito decente e scarpe in ordine. Lui la guardò, gli occhi rossi e stanchi:
— Nina, non ho niente da darti. E poi… a chi devi dimostrare qualcosa?
Quelle parole le fecero più male delle risate dei compagni.

Per non scoppiare a piangere davanti a lui, uscì a prendere aria. In cortile incontrò la vicina, Inna Romanovna, che conosceva bene la loro situazione. Le lanciò uno sguardo attento e poi disse, senza tanti giri di parole:
— Se vuoi, posso procurarti un lavoro in ospedale. Turni serali. Si tratta di pulizie, niente di speciale, ma è un lavoro onesto.
Nina non ci pensò troppo: ogni rublo guadagnato l’avrebbe avvicinata al suo vestito.

Da quel momento la sua vita si spezzò in due. Di giorno, la scuola e gli sguardi sprezzanti; la sera, corridoi d’ospedale da lavare, pavimenti da strofinare, cestini da svuotare. Nessuno doveva sapere. Era il suo segreto, la sua piccola rivoluzione. Naturalmente, com’era prevedibile, le voci iniziarono a girare. Qualcuno la vide dirigersi verso l’ospedale e, ridendo, gridò:
— Guardate, la pezzente va a lavare i pavimenti!
Lei si limitò a stringere la borsa e ad andare avanti. Non avrebbe permesso che quelle parole la fermassero.

Un giorno, durante la ricreazione, la reginetta della classe, Svetlova, la ragazza più bella e ricca, le si parò davanti.
— E allora, Nina? Per il ballo metti la divisa da donna delle pulizie?
Nina sentì le mani tremarle, ma alzò lo sguardo e le rispose, con una calma che non sapeva di avere:
— Verrò anch’io al ballo. E magari vincerò pure la corona.
Svetlova scoppiò a ridere:
— Tu? Regina del ballo? Non dire sciocchezze.
— Vedremo — replicò Nina, con la voce sottile ma decisa.

All’ospedale, intanto, la sua vita prendeva un’altra piega. Una sera portarono un bambino ferito, caduto dal monopattino. Piangeva disperato. Nina lo aiutò a sedersi, gli parlò piano, gli pulì le sbucciature, cercando di non fargli male. La governante del piccolo, quasi in lacrime, le strinse la mano:
— I suoi genitori non ci sono mai. Oggi gli sei stata davvero d’aiuto. Sei stata un angelo.
Quelle parole scaldarono qualcosa dentro di lei. Forse, anche se era “solo” una addetta alle pulizie, la sua presenza contava.

Una sera, rientrando dal turno, aprì la porta e rimase sorpresa: suo padre era seduto sul divano, sobrio, con un giornale in mano. Niente bottiglie sul tavolino. La guardò a lungo, poi disse:
— Nina, scusami. Ho visto quanto ti stai ammazzando di fatica. Non posso continuare a fare finta di niente.
Nei giorni seguenti trovò un lavoro anche lui. Il primo stipendio, glielo mise direttamente in mano:
— Tieni. Per il tuo vestito.

Alla fine Nina riuscì a comprare un abito color cielo, leggero, con un velo di tulle che le sfiorava le caviglie. Le scarpe erano semplici, ma eleganti, pulite, nuove. Si sistemò i capelli davanti allo specchio, con le mani che le tremavano per l’emozione più che per la paura.

La sera del ballo arrivò accompagnata da suo padre. Appena entrò nella sala, le conversazioni si affievolirono. Tutti la fissavano.
— Ma… è Nina? — sussurravano.
Persino Svetlova rimase a bocca aperta.

Quando giunse il momento della proclamazione, il presentatore aprì la busta con un sorriso:
— E la regina del ballo di quest’anno è… Nina!
Per un istante ci fu silenzio, poi esplosero gli applausi. Lei salì sul palco, le luci puntate addosso, la corona che le veniva posata sui capelli con un gesto solenne. Ballò il valzer con suo padre, stringendolo forte. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Avrebbe voluto che sua madre fosse lì, ma sentiva, nel profondo, che in qualche modo stava assistendo a tutto.

Da quella notte, la sua storia prese un’altra direzione. Continuò gli studi, decisa a tornare in ospedale non più solo per pulire pavimenti, ma per prendersi cura delle persone. Scelse di diventare infermiera. Suo padre smise davvero di bere e, passo dopo passo, la loro vita si rimise in piedi.

Un giorno, tra i corridoi dell’ospedale, incontrò di nuovo Igor, il padre del bambino che aveva aiutato tempo prima. Iniziò con un grazie, poi una conversazione, poi un caffè. Col tempo nacque un sentimento sincero. Dopo la laurea, Igor le prese la mano e le disse:
— Lascia che sia io la tua favola.

Nina sorrise. Ripensò a tutti i “la pezzente”, alle risate, ai vestiti usati, alle sere stanche con il secchio e lo straccio in mano. Nessuna favola era scesa dal cielo. Se l’era costruita da sola, passo dopo passo. E quella, capì, era la cosa più preziosa di tutte.

Advertisements