Devo ammetterlo senza troppi giri di parole: la nostra macchina era un autentico disastro.
Condividerla con Ben, mio marito che lavora nei cantieri, significava rassegnarsi all’odore costante di sudore e segatura, al tappetino coperto di terra secca, a cartacce di fast food appallottolate negli angoli e attrezzi buttati alla rinfusa. Senza contare viti e chiodi che comparivano nei posti più improbabili. Più di una volta avevo provato a rimettere tutto in sesto, ma ogni tentativo era durato giusto il tempo di un respiro.
Quella mattina, però, qualcosa cambiò. Un collega di Ben, Mike, si offrì di passarlo a prendere per il turno, e all’improvviso l’auto — e qualche ora di pace — erano tutte per me. Guardando quel campo di battaglia su quattro ruote, decisi che era arrivato il momento di restituire un minimo di dignità al povero veicolo.
«Liam, ti andrebbe di aiutarmi a pulire la macchina?» chiesi a nostro figlio, già pronta a sentirmi dire di no.
Invece i suoi occhi si illuminarono. «Posso usare io la spugna?»
«Certo» risposi sorridendo, porgendogliela.
Dopo pochi minuti, però, Liam si lasciò cadere sul marciapiede, visibilmente annoiato. Poi, come se stesse parlando del tempo, chiese:
«Perché non usiamo semplicemente l’altra macchina di papà?»
Rimasi a mezz’aria, con il braccio ancora teso. «Quale altra macchina?»
«Quella nera tutta lucida» spiegò distrattamente, giocherellando con una foglia. «Papà la guida quando è con quella signora coi capelli ricci. È stata lei a dargli le chiavi, ridevano insieme.»
Sentii lo stomaco ghiacciarsi.
«E… quando sarebbe successo?» domandai, con la voce che mi usciva a fatica.
«Quando Jenna faceva da babysitter e tu eri dalla nonna.»
Non affrontai Ben subito. Avevo bisogno prima di mettere a fuoco la situazione. Scrissi alla mia amica Sarah:
Io: «Puoi prestarmi la macchina stasera? È una cosa complicata. Ti racconto dopo.»
Sarah: «Oddio, certo. Ma voglio sapere tutto!»
La sera dissi a Ben che sarei passata da mia madre con un po’ di spesa e poi sarei uscita con Sarah. Lui annuì senza fare domande, troppo assorto nel suo videogioco.
Quando salii in macchina con Sarah, lei mi lanciò un’occhiata sospettosa. «Allora? Che succede?»
«Ho il terribile sospetto che Ben mi stia nascondendo qualcosa.»
«Parli di… un’altra donna?»
Abbassai gli occhi. «È possibile.»
«Va bene, allora lo pediniamo.»
Dopo poco, vedemmo Ben uscire di casa con una piccola scatola in mano, una di quelle che sembrano contenere gioielli. Mi si chiuse la gola. Una macchina nera arrivò davanti a lui, e una donna dai ricci scuri gli porse le chiavi prima di salire al suo fianco.
Li seguimmo fino a un elegante edificio di uffici. Li osservammo entrare in una sala riunioni riservata. Attraverso la vetrata vidi Ben aprire la scatolina: dentro c’era una collana d’oro con un rubino incastonato al centro, antica, importante. La donna accese il portatile e cominciò a digitare come una forsennata.
Il cuore mi batteva all’impazzata. Gliela stava regalando? Era davvero quello che pensavo? Un tradimento in piena regola?
Fu in quell’istante che Ben aprì la porta e mi colse di sorpresa. «Dobbiamo parlare.»
Fuori, con il viso tirato, mi spiegò: «Quella collana era di mia madre. Non la stavo regalando: stavo cercando di venderla.»
«Per quale motivo?» chiesi, ancora scossa.
Abbassò lo sguardo. «Per coprire le spese mediche di tua madre. Anni fa ho fatto un prestito per aiutarla, ma gli interessi sono diventati un incubo. Non volevo aggiungere altro peso sulle tue spalle. Lei, Marissa, è una consulente: mi sta aiutando a rimettere in ordine i conti.»
Mi si velarono gli occhi. «Ben, non puoi caricarti tutto da solo. Ci sono anch’io. Siamo una squadra.»
Nei mesi successivi affrontammo insieme il problema: io aumentai le ore di lavoro, tagliammo tutto il superfluo e, con il piano messo a punto da Marissa, iniziammo a rientrare dal debito passo dopo passo.
E la famosa macchina nera? Non era altro che l’auto che usavano per gli appuntamenti di lavoro.
Quanto alla collana, alla fine decidemmo di non venderla. Chiesi a Ben di conservarla per Liam: un simbolo del nostro legame e del coraggio con cui avevamo affrontato quella prova.